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sabato, Luglio 27, 2024

The French Dispatch, una bella sensazione di calore

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di Laura Salvioli

Per il regista più amato dai radical chic o presunti tali è il decimo lungometraggio da regista e sceneggiatore, orami sono note le sue inquadrature simmetriche ed i suoi personaggi assolutamente naif. Queste caratteristiche che per alcuni sono ripetitive e quasi noiose io le trovo, invece, dei tratti distintivi come la pennellata unica di Van Gogh o la voce graffiante di Janis Joplin. In questa nuova pellicola si parla di una rivista che è l’inserto domenicale di un giornale che si chiama appunto The French Dispatch ed i protagonisti sono i giornalisti che scrivono per la rivista stessa ed il suo editore. Ogni personaggio viene presentato attraverso il suo articolo ed ognuno ha un suo modo unico di vedere la vita e di raccontarcela. Abbiamo il direttore che ha scritto nel testamento che quando morirà la rivista morirà con lui che tutti i rulli di stampa alla sua morte vadano distrutti, la giornalista che si occupa di arte ha avuto passati burrascosi con gli artisti di cui parla ed è palesemente alcolizzata, la corrispondente di politica che segue la ribellione dei giovani molto da vicino e fa un po’ da madre ed un po’ da amante al capo della rivolta. Infine un ciclista giornalista che ci descrive le parti malfamate, o presunte teli, della città ed un critico gastronomico che scrive di tutto eccetto che di cibo ed ha una memoria tipografica cioè ricorda tutto quello che ha scritto nella sua vita. È tutto unico ed accattivante e ancora di più in questo caso, dato che il soggetto del film è una rivista, è tutto scritto molto bene ed ogni parola è scelta con cura estrema. La verità è che Wes, per me, dà quella bella sensazione di calore alla pancia, quel conforto delle cose fatte bene, con cura, ti fa sentire quella attenzione che è amore puro per la bellezza. Ti fa sentire che qualcuno si è messo lì a scegliere tutto quello che stai vedendo e sentendo. Con lui non solo le parole sono importanti tutto lo è, persino la tazzina da caffè con l’effige del bar, la divisa del carcerato con scritta la classificazione dello stesso a seconda del reato, o tutto il percorso a piedi che un cameriere fa per portare un nutrito vassoio all’ultimo piano di un palazzo con infinite scale. Non è mai andare a vedere solo un film, è entrare in un mondo che lui ha costruito con precisione maniacale per noi. Ma, ciò che amo di più di Wes è che, mai come nel suo caso, la forma, seppur perfetta dei sui film, non è mai fine a sé stessa. La forma è sostanza per lui, serve per veicolare messaggi e riflessioni in questo caso si parla di suicidio in carcere, dell’arte come business e della vita difficile dello straniero in terra straniera. Insomma vedere i film di Wes è come conoscere ogni volta una donna bellissima e, mentre la osserviamo imbambolati e ci perdiamo nei sui lineamenti perfetti, lei inizia a parlare e dice cose intelligenti ironiche e cariche di intelligenza emotiva e noi a quel punto siamo spiazzati, conquistati e la vogliamo rivedere ancora ancora e ancora.

 

(26 novembre 2021)

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