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sabato, Luglio 27, 2024

Diabolik, abbiamo amato il film dei Manetti Bros

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di Giuseppe Sciarra
L’Italia è il paese del malcontento e della lamentela facile che investe ogni ambito, da quello prettamente politico a quello sociale fino a giungere a quello culturale dove molti italioti sfogano le proprie frustrazioni al meglio della loro suddetta saccenteria. L’Italia è purtroppo un paese che non ama i suoi artisti, diciamocela tutta. La cultura americana ha fatto in modo di plagiare i gusti degli italiani soprattutto col suo cinema – che, per carità, spesso (ma non sempre) è cinema con la c maiuscola – portandoci a innalzare come divinità anche le briciole a stelle e strisce a marchio Hollywood. A contribuire a questo disfacimento culturale la televisione becera degli ultimi quarant’anni che ha innalzato il livello di ignoranza e di presunzione del bel paese tra grandi fratelli volgari e mediocri e uomini e donne fatti in serie tanto bellocci, quanto sgrammaticati e di plastica.

La critica cinematografica in Italia non è esente da questo declino. I critici in Italia si dividono in due categorie, da un lato abbiamo gente che ha una cultura cinematografica vera e può permettersi di arrogarsi il diritto di glorificare e stroncare un film perché ha gli strumenti per poterlo fare – dimentica però troppo spesso che la sua parola non è vangelo, al netto delle indubbie competenze -, dall’altra parte invece ci sono critici cinematografici dalla cultura mainstream che vedono il cinema in un solo modo e si rapportano ad esso sempre e comunque in virtù del cinema americano di cui sopra come se fosse un monito per le altre cinematografie così che tutto il resto – che non è mica cinema da ridere – vada al diavolo.

Questo lungo preambolo sulla cultura e il cinema non può non essere fatto in virtù di quella che è stata la spaccatura – tra chi l’ha criticato aspramente e chi l’ha apprezzato – che si è consumata attorno ad uno dei film più attesi dell’anno il “Diabolik” dei Manetti Bros. Noi siamo dalla parte di chi ha amato il film e vi spieghiamo il perché.

La contestazione verso chi ha criticato “Diabolik” nasce innanzi tutto dal modo in cui certa critica cinematografica vede il ritmo in un film. Il ritmo di Diabolik soprattutto nella prima parte dell’opera è effettivamente lento, ma lento non vuol dire necessariamente sbagliato o brutto, altrimenti Antonioni non avrebbe ragion di essere uno dei più grandi cineasti della settima arte. Alcuni obietteranno che è la lentezza in un film tratto da un fumetto è una scelta infelice e non in linea coi canoni che ci hanno imposto i blockbuster americani ma il “Diabolik” dei Manetti Bros non è un blockbuster bensì una riproposizione fedele dell’omonimo fumetto creato nel 1962 delle sorelle Angela e Luciana Giussani che non vuole fare il verso alle americanate del cinema hollywoodiano ma elaborare in chiave italiana e con un respiro internazionale, soprattutto europeo la storia del mitico criminale che rilanciò negli anni sessanta il fumetto nero in Italia. La storia raccontata nel film è quella tratta dall’albo numero 3 “L’arresto di Diabolik” pubblicata il 1 marzo 1963.

Il film elabora in maniera coraggiosa e del tutto nuova un comics, rifacendosi ai vecchi sceneggiati Rai – penso a un Belfagor, ma anche a un A come Andromeda, piccole gemme dove la televisione era una fucina di idee originali e innovative – e riporta ad un’ombra geniale chiamata Hitchcock nell’intreccio della storia e nei colpi di scena a incastro, così come di certo cinema francese noir. Le interpretazioni degli attori sono impeccabili. Su tutte quelle del protagonista Luca Marinelli, che è semplicemente mostruoso. La polemica sulla scelta di Marinelli come Diabolik è fine a se stessa ed è l’ulteriore prova della banalità di certe querelle da italietta da film parrocchiale della domenica pomeriggio, che non ama i suoi artisti quando invece dovrebbe farlo. Chapeau a Marinelli e tutto il cast. Menzione speciale alla colonna sonora. Un capolavoro. Le musiche di Pivio e Aldo De Scalzi sono già un classico, così come le due perle pop di Manuel Agnelli “La profondità degli abissi” e “Pam Pum Pam”: quest’ultimo è un genio della musica nostrana e grazie al suo contributo il film è destinato a essere un’opera cinematografica destinata col tempo a fare scuola; la musica azzeccata, nella settima arte, fa il cinquanta per cento dell’opera – nonostante una critica disattenta e inquinata da decenni di kultura amerikana.

(26 dicembre 2021)

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