di Laura Salvioli
Questo film di Robert Zemeckis è uscito nelle sale italiane il 9 gennaio; come sappiamo, Zemeckis è un regista con una carriera sfavillante alle spalle. Ha firmato capolavori come “Forrest Gump” e “Ritorno al futuro”, che, possiamo dire senza essere contraddetti, hanno segnato un’epoca. Nel suo ultimo film ha cercato, come in Forrest Gump, di raccontare una vita intera, ma in questo caso non di un solo personaggio, ma di tanti. In un film corale che, però, dà maggior rilievo alla storia di Richard e Margareth, rispettivamente interpretati da Tom Hanks e Robin Wright. Il film è ispirato all’omonimo fumetto di Richard McGuire, e dato che il romanzo si svolge in una specifica posizione visiva sulla terra, Zemeckis ha scelto di utilizzare una inquadratura fissa. E di far svolgere tutto il film nello stesso luogo, un terreno che, poi diventa una casa abitata nelle varie epoche dai diversi personaggi. Le famiglie che la abitano sono tutte diverse, c’è quella moderna afroamericana, quella senza figli che si gode i ruggenti anni ’20 brevettando nuove invenzioni, quella con il padre di famiglia ossessionato dall’aviazione. Insomma, tutte storie diverse che hanno in comune solo di aver vissuto tante delle loro emozioni più belle in quello stesso luogo. Ovviamente, ci si sofferma maggiormente su Richard e Margareth partendo prima dal padre di Richard, Al, reduce della Seconda guerra mondiale, che compra casa con la moglie, Rose, e mette su famiglia.
Al e Rose sono una tipica coppia degli anni ’50 lui lavora lei sta a casa e pensa ai loro tre figli. Il primo dei tre è Richard, tom Hanks appunto, che vorrebbe fare il grafico o il disegnatore, nonostante il poco sostegno da parte del padre che è decisamente “vecchio stampo”. Richard conosce e Margareth al liceo e se ne innamora, e lei rimane subito incinta. Questo, ovviamente, cambia tutti i progetti dei due giovani ragazzi che concentreranno tutte le loro energie su Vanessa, la loro bambina. Quindi, abbiamo i tipici bivi che segnano la vita di tutti noi, creando non poca nostalgia e, a volte, veri e propri rimpianti. Per realizzare tutto questo, cioè una inquadratura fissa e lo scorrere del tempo e delle varie epoche il regista ha dovuto servirsi dell’intelligenza artificiale per poter invecchiare e ringiovanire i volti degli attori. Ha lavorato sul set con due monitor, uno con l’immagine reale e l’altro con quella modificata. Ovviamente questo ha generato non pochi dibattiti. È giusto utilizzare questi mezzi? Ci si può emozionare anche se i volti che vediamo sono prodotti artificialmente? In un futuro, ormai, non troppo lontano i film saranno realizzati tutti con questi metodi? Io, personalmente, mi sono emozionata ugualmente, perché a prescindere, dal metodo utilizzato, la sceneggiatura tocca temi con cui è impossibile non empatizzare. Ammetto che è strano pensare che dei volti prodotti artificialmente possano arrivare, in ogni caso alla nostra anima, ma è simile a quello che succede con i cartoni animati. Dietro all’intelligenza artificiale c’è, comunque, quella umana, che ha scritto la sceneggiatura ed ha scelto una regia che ci rendesse ancora più spettatori delle vite degli altri, ma anche della nostra, come spesso ci sentiamo. La sensazione era di vedere un lungo “filmetto di famiglia”, ovviamente di qualità superiore, e con tutto il calore e l’emozione tipica di alcuni passaggi che toccano la vita di tutti: i conflitti con i genitori, le difficoltà lavorative ed economiche, l’accettare che alcune persone ci lasceranno per sempre, la delusione/sollievo nel realizzare che niente è per sempre, l’accettare che tutto cambia e non sempre in meglio. Emozioni ed esperienze semplici, quasi banali, che, se ben dosate sapranno creare sempre un legame tra tutti noi, perché sono proprio quelle emozioni semplici, che dovremmo vivere sempre “qui” ed ora che ci rendono umani. Che rendono tutta l’umanità, di tutti i tempi, un’unica meravigliosa comunità.
(1 febbraio 2025)
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