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sabato, Luglio 27, 2024

Perché vi consiglio Jafar Panahi

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di Laura Salvioli
Questo regista iraniano è considerato un dissidente nel suo paese: è stato, infatti, arrestato nel marzo 2010 e condannato a sei anni di prigione e al divieto di dirigere e scrivere sceneggiature per vent’anni. Nel 2011 in attesa del giudizio d’appello ha girato un video-diario dal titolo This is not a film che è arrivato al festival di Cannes clandestinamente all’interno di una torta. Insomma è un regista scomodo per il suo paese perché lo rappresenta senza filtri, non edulcora, non nasconde e lo fa con film che sono sempre a cavallo col genere documentaristico e a cui lui, solitamente, prende parte. I suoi film hanno lo scopo chiaro e preciso di raccontare la sua realtà ma non lo fanno in modo retorico, c’è denuncia ma mai urlata o melensa, anzi c’è anche una certa vena ironica che non guasta mai. L’ho conosciuto grazie ad un corto intitolato Hidden che riflette sulla figura della donna nel mondo orientale e lo fa usando un perfetto incrocio di parole ed immagini esattamente come il cinema dovrebbe fare. Ci vuole, infatti, il giusto mix delle due cose, non bisogna mai spiegare troppo a parole, lo spettatore va conquistato con le immagini; loro e solo loro devono rimanere scolpite nella sua mente.
Dei suoi nove lungometraggi io ho visto gli ultimi due che sono disponibili su Amazon Prime e che consiglio assolutamente. Uno dei due è Tre Volti, opera in cui una ragazza di uno sperduto villaggio fa recapitare un video del suo suicidio ad una famosa attrice iraniana perché la sua famiglia non le permette di frequentare la scuola di cinema a cui è stata ammessa. La vicenda parte da questo video che sconvolge l’attrice e la porta ad andare nel paese della ragazza accompagnata da Jafar Panahi stesso, per capire se il video sia vero o meno. In questo viaggio il regista ci fa conoscere queste remote realtà in cui la vita delle donne è praticamente impossibile dato che, semplicemente, per il sentire comune la vita non è loro. E tra abitanti pittoreschi del villaggio ed episodi simbolici il messaggio passa forte e chiaro molto di più quando nessuno parla, se non le immagini. L’altro film è Taxi Teheran, pellicola in cui Jafar finge di essere un tassista nella capitale iraniana ed i vari passeggeri del suo taxi ci danno uno spaccato della realtà dittatoriale ed intrisa di religione in cui la Teocrazia chiamata Iran vive. Anche qui la presenza delle donne è molto forte ma le tematiche sono più legate alla sharia ed alle imposizioni che impone al mondo del cinema e alla vita secolare più in generale. Ad esempio fingendo un incidente stradale in cui un signore viene gravemente ferito, Panahi ci spiega come le donne che rimangono vedove in Iran rischiano di cadere in disgrazia perché senza una espressa volontà del marito non hanno diritto ad ereditare nulla. Ma quello che amo di più di questo regista non è il fatto che si spenda per tematiche sociali quanto che lo faccia senza dimenticarsi mai che il cinema è una forma d’arte e che non per forza deve avere uno scopo.
Non ci offre mai pura retorica ma sempre analisi puntuale e precisa fatta attraverso il meraviglioso mezzo che è il cinema.

 

(26 dicembre 2021)

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