di Laura Salvioli
Almodóvar ha realizzato il suo primo film in lingua inglese dal titolo “La stanza accanto” con due attrici protagoniste mastodontiche: Tilda Swinton e Julienne Moore. Il film è uscito il 5 dicembre in Italia ed è stato anche insignito del Leone d’Oro a Venezia. Quindi, le premesse mi avevano fatto ben sperare. Il film è frutto dell’adattamento di un libro della scrittrice Sigrid Nuñez, e questo non è comune per Almodóvar che, di solito, scrive le sceneggiature dei suoi film di suo pungo. La tematica è importante e necessaria, e forse è questo uno dei problemi del film. Si parla, infatti, di eutanasia, cioè del diritto ad avere una morte dolce senza accanimenti terapeutici. La protagonista, infatti, ha un tumore alla cervice, e nonostante varie cure sperimentali molto dolorose ed invasive la massa non accenna a regredire. Quindi, decide di porre fine alla sua vita, pima che il tumore lo faccia per lei. Si affronta, quindi, un tema molto forte, anche dal punto di vista politico.
Forse, per questo ho trovato il film molto costruito come se fosse un compitino da eseguire. Un tema con dei punti ben precisi da sviscerare. Forse, ripeto, perché è l’adattamento di un libro, non saprei, ma non sono riuscita ad empatizzare molto con i personaggi. Stupende, come sempre, le scelte cromatiche lussureggianti e a contrasto che sono tipiche del cinema di Almodóvar, tuttavia ho trovato che mancava una vera anima.
Ho apprezzato anche che le due protagoniste abbiano due visioni opposte sulla morte. Ingrid, intrepretata da Julienne Moore, non accetta la morte è un concetto che non le appartiene e lo dice già nella primissima scena del film. Martha, interpretata da Tilda Swinton, invece, è una persona molto più pragmatica che, ormai, vede la morte come il raggiungimento della pace. E, quindi, alla fine Martha le insegna qualcosa facendola essere parte di questa sua decisione. Ho apprezzato anche che lei sia decisa a morire ma non da sola, che voglia qualcuno nella “stanza accanto”, appunto, come per sentirsi accompagnata nel momento estremo. Tuttavia, ho trovato ridondante ed eccessivamente didascalico il modo di affrontare il tema. Non ci ho visto lo stile eclettico, fuori delle righe tipico di Almodóvar, ho trovato un film freddo, rigido. In conclusione, probabilmente, se si mette al centro una tematica fortemente politica è difficile, a mio parere, conservare la propria autenticità. È vero che l’arte ha anche lo scopo di mandare messaggi sociali, tuttavia, non si deve dimenticare di essere “arte”, dunque, ispirata.
(10 dicembre 2024)
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