di Giuseppe Sciarra
C’è poco da fare! Netflix Italia azzecca prodotti giusti soprattutto quando produce documentari controversi su personaggi di successo dalle tante luci ma anche dalle tante ombre a incutere non poco timore sulla doppiezza e complessità di una certa Italia scissa pericolosamente tra potere e malavita. Dopo l’ipnotico e inquietante Sanpa sul santone dai metodi poco ortodossi, Vincenzo Muccioli, creatore della prima comunità di tossicodipendenti italiani che infiammò l’opinione pubblica è ora il turno di un’altra oscura vicenda del “bel paese”, quella che riguarda la televenditrice più famosa di Italia tra gli anni ottanta e novanta, Wanna Marchi.
L’attesissimo Wanna per la regia di Nicola Prosatore, scritta da Alessandro Garramone con Davide Bandiera è uscito da poco, (lo scorso 20 settembre) e già fa discutere il web e le testate giornalistiche. Con uno stile accattivante, dinamico, tra materiale di repertorio vintage di trasmissioni locali e nazionalpopolari, rapide interviste faccia a faccia che lasciano il segno e testimonianze sull’ascesa e caduta della Marchi (in primis della stessa Wanna Marchi e della figlia Stefania Nobile), salti temporali istantanei e veloci tra i decenni d’oro e quelli del declino; con la splendida musica della sigla, “Cinque minuti di te” di Don Antonio, cantata da Daniele Peroni col suo avvolgente sound anni sessanta che ricorda nello stile le hit di quel periodo di Mina, le interviste a personaggi come Milva Magliano, sua ex collaboratrice condannata per l’appartenenza alla nuova camorra organizzata dal boss Raffaele Cutolo o il mago Do Nascimento, latitante in Brasile dopo la condanna di Wanna Marchi e Stefania Nobile, Wanna si presenta come un eccellente documentario destinato a far parlare di se per diversi lustri.
Siamo concordi con chi dice che la serie Netflix indaga solo una parte della vicenda che riguarda la storia controversa di Wanna Marchi, restando in superficie su molti aspetti delle mille vite della conduttrice televisiva e della figlia, ma nei suoi quattro episodi oltre a inquadrare perfettamente l’aspetto pubblico e in parte privato della vicenda dell’urlatrice e imbonitrice delle televendite più chiassose, invasive e folli che si siano mai viste nella tv italiana, riesce a tratteggiare un ritratto sincero e scomodo dell’Italia degli anni ottanta e novanta, neoliberista, volgare, arrivista, un po’ troia e pronta a tutto pur di trarre profitto da ogni cosa; anche se di mezzo c’è la vita di altri esseri umani.
La Marchi è sola una delle tante truffaldine (ogni riferimento a gente della nostra classe politica è puramente casuale) che hanno fatto sciacallaggio sulla vita di quegli italiani più deboli (che lei definisce coglioni) e che invece sono solo persone disperate, anziane o emarginate la cui unica colpa più che credere alle fandonie di Marchi e company è quella di non essere dalla parte “giusta”, quella degli italiani usurai, mafiosi, cialtroni e meschini che lucrano sull’esistenza degli altri per cattiveria e brama di potere. I furbastri a cui ci viene detto di guardare con ammirazione e rispetto perché sono arrivati, hanno potere, certo non si sa ha che prezzo e in che modo.
Wanna Marchi e Stefania Nobile sono la quintessenza del fallimento del sogno americano esportato in Europa, fallimentare anche in patria. Due donne che ce l’hanno fatta e che giunte in cima in balia del potere e di deliri di onnipotenza si sono fatte travolgere da un meccanismo pericoloso in cui fare commercio e accumulare soldi significava non solo vendere un prodotto ma truffare la gente con ogni mezzo perché è il mercato che te lo richiede – e in effetti hanno ragione loro, si sono adeguate a un sistema spietato che di gente come Marchi e Nobile è piena! Se le due non sono pentite di quelle che hanno fatto e perché nella loro ottica hanno fatto bene e non le si può dare torto. Precisiamo, non le sto difendendo, sono due truffatrici e hanno commesso dei reati gravi ma fanno parte di un intero sistema italico rimasto invece impunito che si è sempre basato su questo meccanismo del truffare l’altro per trarre profitto.
Wanna Marchi nasce da una famiglia di poveri contadini romagnoli. Negli anni sessanta si sposa con un uomo fedifrago e violento da cui avrà due figli, Stefania e Maurizio; inizia a lavorare per emanciparsi da un marito che l’ha sempre denigrata e con cui è in competizione, prima come truccatrice di morti per poi aprire il primo negozio e passare alle tv private diventando rapidamente un fenomeno mediatico grazie alla vendita di alghe e sciogli pancia miracolosi che oltre a farla diventare milionaria le fanno guadagnare ospitate nelle trasmissioni tv più importanti dell’epoca (gli anni ottanta) quelle dell’Olimpo della televisione italiana con a capo personaggi come Maurizio Costanzo, Pippo Baudo, Enzo Biagi – contribuendone a costruirne il mito in perfetto american style, quello della donna povera che grazie a una nuova era non solo italiana, ma occidentale, ce l’ha fatta diventando ricca e famosa.
La bancarotta fraudolenta negli anni novanta che causerà i suoi arresti domiciliari e la carcerazione della sua ex collaboratrice Milva Magliano, impoverirà la Marchi spingendola a cercare una nuova rivincita dalla vita e il grande rilancio qualche anno dopo. L’incontro con il brasiliano Do Nascimiento, cameriere del ricchissimo marchese Attilio Capra de Carré ex candidato della Lega e massone della P2, la farà ritornare alla grande in televisione attraverso i numeri del lotto e degli strani riti magici ed il resto è storia. Nel 2001 il programma di Antonio Ricci, Striscia la Notizia smaschererà una super truffa ai danni di poveri anziani e persone disperate a cui la Marchi prometteva attraverso Do Nascimento di togliere il malocchio dietro laute ricompense e minacce al limite dell’estorsione.
Wanna ci dice tanto sugli anni ottanta e novanta, sulla sua mitizzazione del potere e della ricchezza a discapito dell’umanità e di una cooperazione comune per migliorare il tessuto civile e sociale. Qui decenni erano imbastiti di un’ideologia malsana di cui paghiamo le conseguenze. Wanna ci mostra due donne incattivite dalla vita logorate dall’odio o dal dolore che di volta in volta suscitano odio e pena, quelle due donne sono la faccia di un paese che non deve tornare mai più, sono un monito sui danni del potere e sulla disumanizzazione di una società ricca ma povera di contenuti e per questo condannata all’infelicità.
(23 settembre 2022)
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