di Rosetta Perfetta
Rosa von Praunheim se n’è andato, ma il suo cinema continua a pulsare come una scintilla nei circuiti del pensiero queer e nella storia stessa del cinema politico europeo. Parlare di von Praunheim significa parlare di un artista che ha fatto della provocazione, dell’ironia corrosiva e della militanza politica una cifra stilistica inconfondibile, una firma che non ammetteva compromessi e che sfidava apertamente il conformismo culturale, sociale e morale degli anni Settanta. Non era un semplice regista: era un testimone, un cronista irriverente e senza paura, un attivista che ha trasformato il linguaggio cinematografico in un’arma di denuncia.
Il suo film più celebre, Non è l’omosessuale ad essere perverso, ma la situazione in cui vive, del 1971, resta una pietra miliare del cinema queer e del movimento omosessuale contemporaneo. Più che un’opera cinematografica, è un manifesto che scuote lo spettatore, costringendolo a riflettere sulle ipocrisie, le discriminazioni e le costrizioni imposte dalla società borghese. In quegli anni, quando la parola “omosessuale” era spesso carica di stigmi e pregiudizi, von Praunheim mostrava senza filtri i volti, le vite e le fragilità delle persone LGBTQ+, aprendo uno spazio di visibilità radicale che sarebbe stato impossibile senza il suo coraggio.
Quello che colpisce ancora oggi nella sua opera è la capacità di fondere documentario e finzione, realtà e satira, denuncia politica e invenzione formale. Il suo cinema non si limitava a raccontare storie: le scuoteva, le sovvertiva, le metteva a nudo. Con un’ironia che poteva essere feroce, a volte quasi spietata, von Praunheim non risparmiava né istituzioni né comunità, né pregiudizi sociali né atteggiamenti interiorizzati. Ogni suo film era una sfida diretta allo spettatore: o ti confrontavi con la verità delle vite queer o rischiavi di rimanere intrappolato nella comoda ipocrisia della norma.
Ricordarlo oggi significa riconoscere l’impatto che ha avuto sulla cultura contemporanea: senza von Praunheim, molte delle battaglie artistiche e culturali degli ultimi cinquant’anni sarebbero state più silenziose, meno audaci, meno visibili. È grazie alla sua irriverenza, alla sua capacità di provocare e al suo talento di regista che il cinema queer ha trovato un linguaggio autonomo, libero, capace di influenzare autori e spettatori in tutto il mondo.
Ma ricordarlo significa anche celebrare la persona, l’attivista, l’intellettuale che non ha mai smesso di interrogare la società, di sfidare pregiudizi e di difendere con passione la libertà di espressione e la dignità delle vite LGBTQ+. La sua eredità non si misura solo in film, ma in coraggio, consapevolezza e trasformazione culturale. Rosa von Praunheim ci lascia un esempio vivente di come l’arte possa essere un gesto politico, un atto di ribellione e, insieme, una celebrazione della complessità umana.
Per chi ha avuto la fortuna di imbattersi nelle sue opere, per chi ha visto la forza caustica dei suoi documentari e il lirismo provocatorio dei suoi lungometraggi, il suo ricordo è un invito a continuare a guardare, a pensare, a sfidare. In un tempo in cui molte battaglie sembrano concluse, la lezione di von Praunheim è chiara: il cinema non serve solo a raccontare storie, serve a cambiare il modo in cui le storie vengono percepite, comprese e vissute.
Rosa von Praunheim ci lascia un’eredità luminosa e scomoda, esattamente come la sua vita e la sua opera hanno sempre voluto essere. Non come semplice commemorazione, ma come invito a non smettere mai di interrogare, provocare, esigere visibilità, libertà e rispetto. Il suo spirito iconoclasta, la sua capacità di ridere e insieme di far riflettere, resteranno un faro indelebile per tutte le generazioni che verranno, un monito a non accontentarsi mai della normalità imposta e a riconoscere la bellezza e la dignità nelle vite che sfidano le convenzioni.
(19 dicembre 2025)
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