di Laura Salvioli
I fratelli D’Innocenzo al loro terzo film riescono nuovamente a centrare il punto. A mio parere hanno già creato un loro genere che intreccia perfettamente la cronaca nera, gli ambienti di una tipico interland laziale ed una notevole capacità registica. Loro, probabilmente, sanno molto bene di essere geniali nel loro lavoro ma questo, per me, non toglie valore alle loro opere. Il film è a tratti disturbante e sembra quasi voler “prendere a pizze” lo spettatore cambiando spesso registro e utilizzando tecniche registiche variegate e contrastanti. La storia è incalzante e confonde il vero ed il falso, creando nel pubblico mille domande e possibili risposte che potrebbero essere tutte bugie o tutte verità. Tanti primi piani si alternano a riprese più distanti come a voler a volte spiare a volte possedere il protagonista che vive un conflitto interiore che riesce a passare anche a noi che passivamente lo osserviamo. Non mi soffermerò sul fatto che, ovviamente, Elio Germano, attore ormai quasi feticcio dei fratelli D’Innocenzo, in quanto presente in due dei loro tre film, è assolutamente perfetto.
Aggiungerò però che anche il resto del cast è assolutamente all’altezza e ci regala una recitazione incisiva ea allo stesso tempo naturale, soprattutto le protagoniste femminili che riescono ad essere eteree, ma credibili. Inoltre, la loro capacità registica spicca nel creare immagini che non rimangono impresse in quanto magari semplicemente belle, ma cariche del significato specifico che vogliono e che riescono a trasmettere. Ma ciò che ho amato maggiormente di questo film, che poi è tratto comune direi quasi della loro “poetica”, è la capacità di creare un mondo senza speranza in cui nessuno si salva, in cui la solitudine che, è poi il senso ultimo della nostra vita, echeggia in ogni cosa.
(24 gennaio 2022)
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