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venerdì, Marzo 29, 2024

“Ariaferma”, una storia dal carcere forse fin troppo drammaticamente vera

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di Laura Salvioli
Questo film di Leonardo di Costanzo disponibile su Amazon prime ha avuto ben undici candidature ai David di Donatello e se ne è aggiudicati due ed è stato, inoltre, presentato fuori concorso la Festival di Venezia. La storia è ambientata in un carcere in Sardegna che sta per chiudere ma per un imprevisto 12 detenuti non possono più essere trasferiti e, dunque, alcune guardie devono rimanere a sorvegliarli fino al loro definitivo trasferimento. Ovviamente, per poter controllare i carcerati si sceglie l’area più funzionale allo scopo che nella fattispecie è la zona strutturata vagamente ispirata modello del panopticon ottocentesco immaginato dal filosofo Jeremy Bentham. Questa struttura permette ad una sola guardia di controllare tutti i detenuti messi in celle senza far capire agli stessi di essere effettivamente controllati per dare la constante idea di un potere invisibile. A capo delle guardie a cui tocca l’ingrato compito, troviamo un sempre convincente Toni Servillo e tra i detenuti un meraviglioso Silvio Orlando (che ha vinto per il ruolo il suo terzo David di Donatello) che interpreta un camorrista scaltro e calcolatore. Sin dall’inizio il rapporto tra i due è di conflitto e una delle prime frasi che Carmine La gioia (Silvio Orlando) rivolge a Gaetano Gargiulo (Toni Servillo) è “è tosto a sta in carcere eh” come provocazione a ricordargli che alla fine le guardie sono in carcere tutto il giorno esattamente come i detenuti. La storia si sviluppa, poi, con vari imprevisti che permettono di conoscere anche glia altri “ospiti dello Stato” e le dinamiche tra loro basate spesso su razzismi di vari tipi. Molto particolari, poi, sono anche le musiche caratterizzate da una continua alternanza tra pezzi di batteria stile bossa nova e canti sardi antichi molto solenni. Tuttavia, quello che ho più apprezzato della pellicola è il senso ultimo che, a mio parere, vuole dare e cioè che alla fine siamo tutti persone e come tali dobbiamo guardarci. A prescindere dai ruoli che vengono assegnati dalle divise in carcere, non ci si può sentire troppo lontani neanche dal peggiore omicida, anzi, spesso si viene da ambienti simili, da una stessa “casa” parafrasando Truman Capote, ma qualcuno riesce ad uscire dalla porta principale e qualcuno, a volte suo malgrado, da quella di dietro.

 

(9 maggio 2022)

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