di Giuseppe Sciarra
Provo vergogna da occidentale a confrontarmi con una storia come quella del protagonista di “Flee”, Amin Nawabi, un uomo gay fuggito da adolescente dall’Afghanistan per cercare dignità in Occidente, un occidente che la dignità l’ha persa da molto tempo e che ha tanti morti sulla coscienza oltre alla memoria corta sui soprusi che ha perpetrato per secoli contro altri paesi, depredandoli di beni primari e trasformandoli in zone di guerra. Un occidente che è vittima di un’ignoranza volutamente indotta da alcuni governi allo scopo di renderci degli idioti e dei razzisti, cosa riuscita benissimo.
Provo vergogna perché nel toccante film d’animazione del danese Jonas Poher Rasmussen, tra i favoriti alle prossime premiazioni degli Oscar: il cinismo, l’indifferenza e la falsa solidarietà di un occidente ostile a chi fugge da un regime e da una guerra causata dai giochi di potere sul finire degli anni ottanta tra Urrs e Usa, è palese e meschina. Eppure, questo occidente in cui chi più e chi meno ci sentiamo in gabbia, per coloro che vengono da paesi come l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria e tante altre nazioni in cui i diritti umani non contano nulla, è un’ancora di salvezza.
Per quanto dunque i nostri paesi democratici o in parte democratici siano demonizzati da molti di noi, sono pur sempre un agglomerato di territori in cui i diritti umani (almeno su carta) hanno un senso e in cui ci vengono permesse delle libertà che diamo per scontate e che altrove sono un miraggio – e non dovremmo dimenticarlo. Assistere al calvario che Amin e la sua famiglia devono subire per giungere in Europa, tra trafficanti di esseri umani che sono bestie e forze dell’ordine indegne di indossare una divisa dell’arma – e permettetemi lo sfogo – indegne di esistere e di far parte dell’umanità, è un soffio al cuore.
I disegni in stile graphic novel alternati a immagini documentaristiche in 8 mm dell’Afghanistan degli anni ottanta rendono questo film d’animazione un gioiello capace di mescolare più stili senza risultare pasticciato. Complice un’ottima sceneggiatura e un giusto dosaggio nel sapere mescolare, come se fossero ingredienti di una pietanza particolare, realtà animata e realtà reale, rende l’una la continuità dell’altra in maniera perfetta e armonica. La storia di Amin è un atto di coraggio e un atto eroico che molti come lui compiono per riuscire ad arrivare in Europa, un continente che vive di contraddizioni, tra slanci di umanità e fanatismo di estrema destra senza limiti e senza vergogna. Uno strano territorio in fase di assestamento e di una propria identità che vada oltre quella che dal dopo guerra gli è stata appiccicata addosso dagli Stati Uniti d’America in parte con successo, in parte fallendo l’obiettivo – perché l’Europa esiste da molto più tempo e l’America (come ben sappiamo) è invenzione europea.
(26 aprile 2022)
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